Il partigiano Manfredi Azzarita, ucciso alle Fosse Ardeatine

Lunedì 25 Aprile 2022 di Alberto Toso Fei
Manfredi Azzarita ritratto da Matteo Bergamelli

Tra i 335 martiri delle Fosse Ardeatine, uccisi a freddo per rappresaglia dal comando nazista come ritorsione dell'attentato partigiano di via Rasella a Roma, c'era anche un veneziano. Non fu una vittima qualsiasi: Manfredi Azzarita era stato capitano di complemento del corpo di Cavalleria durante la seconda guerra mondiale, prendendo parte all'invasione della Jugoslavia, e aveva deciso da quale parte della storia stare dopo l'armistizio del 8 settembre 1943, entrando nel fronte militare clandestino e istituendo un efficace sistema di comunicazione tra le forze partigiane.
Eppure nella sua vita non avrebbe dovuto fare il militare; primogenito dei cinque figli di Leonardo, giornalista di origine pugliese, e Luigia De Prà, Manfredi Azzarita nacque a Venezia il 19 luglio 1912, e dopo l'infanzia e la prima formazione scolastica avvenuta in città, si trasferì prima a Roma e poi negli Stati Uniti, per perfezionare gli studi. Si laureò in Scienze Politiche col massimo dei voti a La Sapienza, a Roma, nel 1932. Due anni più tardi, ventiquattrenne, svolse il servizio di leva in Cavalleria raggiungendo il grado di sottotenente, ma dopo il congedo assunse la direzione della segreteria della Società tecnico industriale Aquila; nel marzo del 1940 si sposò con Teresa Bariletti. Pochi mesi più tardi, lo scoppio della seconda guerra mondiale cambiò drasticamente la sua vita.

Richiamato in servizio, Azzarita prese parte alle operazioni nella zona dei Balcani e fu poi trasferito a Roma - in ragione delle sue qualità - presso lo Stato maggiore dell'esercito. Dopo le giornate convulse che videro la caduta del regime fascista ricevette la nomina di addetto alla sicurezza del generale inglese Adrian Carton de Wiart, liberato da Pietro Badoglio in vista dell'inizio delle negoziazioni preliminari con gli angloamericani. Dopo l'8 settembre, Azzarita divenne uno tra i militari più attivi tra gli animatori della Resistenza romana, collaborando con il Fronte militare clandestino; allacciò contatti tra il comando della V Armata americana e organizzò una rete clandestina di collegamento e coordinamento delle forze antifasciste.
L'occupazione nazista di Roma rese la sua attività sempre più pericolosa: in seguito a una informazione strappata con la tortura a un prigioniero, fu raggiunto e arrestato nella sua residenza di piazza Cavour il 18 marzo 1944 da un manipolo di SS, e fu tradotto nella famigerata prigione di via Tasso. Tre dei suoi compagni furono fucilati quasi subito; a lui furono riservati cinque giorni di sevizie e di torture allo scopo di estorcergli informazioni utili per l'individuazione della sua cellula di informatori e per conoscere nomi e luoghi di rifugio dei partigiani operanti a Roma. Ma Azzarita non parlò.
Il 23 marzo del 1944, trentatré militari della forza d'occupazione tedesca appartenente al III Battaglione Polizeiregiment Bozen furono uccisi a Roma, in via Rasella, con una bomba piazzata davanti alla loro caserma da una formazione partigiana della capitale. La rappresaglia del comando nazista fu immediata: l'uccisione di dieci italiani per ogni tedesco morto nell'operazione gappista. Il solerte comandante incaricato della pratica, Erik Priebke, inserì cinque nomi in più nella lista della morte. Azzarita fu condotto alle Fosse Ardeatine e trucidato insieme agli altri prigionieri.
Negli anni successivi fu anche detto che le SS avevano affisso dei manifesti invitando i partigiani a consegnarsi, per evitare la strage. Ma ciò non è mai stato vero: la ritorsione delle Ardeatine fu condotta rapidamente e in segreto; solo il giorno successivo, 25 marzo, un comunicato dell'agenzia ufficiale Stefani annunciò che Il comando tedesco ha ordinato che per ogni tedesco ammazzato dieci criminali comunisti-badogliani siano fucilati. E con lapidaria precisione concludeva: Quest'ordine è già stato eseguito.
Manfredi Azzarita riposa nel sarcofago numero 87 del sacrario delle Fosse Ardeatine. A seguito di questi fatti gli fu conferita la medaglia d'oro al valor militare. La motivazione di tale riconoscimento, riportata per intero, sta scolpita a Venezia presso la sua casa natale di Cannaregio, al 1548 di corte Correr.

 

Ultimo aggiornamento: 18:20 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci