Michele Misseri ha già iniziato il conto alla rovescia verso la libertà, spuntando i giorni nella sua cella del carcere di Lecce. Sta per scoccare, infatti, il "fine pena" per il contraddittorio protagonista del caso dell'omicidio della nipote 15enne Sarah Scazzi, uccisa nell'estate del 2010 ad Avetrana.
In libertà prima di fine di febbraio
«Tornerà in libertà prima di fine di febbraio», conferma l'avvocato Luca Latanza, il difensore del contadino. Misseri, quindi, a marzo trascorrerà da uomo libero il suo settantesimo compleanno. Aveva 56 anni quando in una piovigginosa serata di ottobre, segnata da rimorsi e mezze verità, confessò al pm Mariano Buccoliero di aver molestato e assassinato la nipote e di aver nascosto il cadavere in una cisterna interrata di contrada Mosca, nelle campagne di Avetrana, cittadina di seimila anime, ultimo centro abitato della provincia di Taranto prima di incamminarsi nel Salento. Al magistrato raccontò di aver deciso di parlare perché aveva sognato Sarah. La nipote, cresciuta nella sua casa come una sorellina per le sue figlie, gli aveva detto di sentire freddo nel pozzo in cui lui l'aveva sprofondata dopo il delitto.
Il mistero
Quella confessione squarciò il velo di mistero che per oltre 40 giorni aveva avvolto il triste destino di Sarah, scomparsa nel nulla in un torrido pomeriggio di agosto. Il viso sorridente di quello scricciolo biondo diventò familiare agli italiani che si appassionarono al giallo e seguirono quotidianamente le ricerche di carabinieri e volontari. La ragazzina quel 26 agosto del 2010, intorno alle 14, stava andando a casa Misseri. Per raggiungere la villetta di via Deledda, destinata a diventare famosa grazie alle telecamere e al plastico di "Porta a Porta", Sarah doveva percorrere solo 500 metri, attraversando poche strade deserte. Poi avrebbe incontrato la cugina Sabrina per andare al mare. In quel tragitto venne ingoiata da un enigma che proprio zio Michele svelò in quel drammatico interrogatorio.Cosa disse
Spiegò di aver strangolato la ragazzina dopo un approccio respinto e dopo aver avvertito un forte calore alla testa. Versione che si rimangiò una settimana dopo, infilando sulla scena del delitto la figlia Sabrina, all'epoca 22enne. Sabrina giurò per ore di essere innocente, ma finì in carcere e da allora non è più uscita, nonostante le ritrattazioni del papà. Gli investigatori e tre gradi di giudizio, in ogni caso, hanno scritto una verità processuale diversa da tutti i racconti di zio Michele. Ad uccidere la piccola Sarah, recita la sentenza definitiva, furono Sabrina e sua madre Cosima. A scatenare il delitto un crogiolo di veleni e sentimenti contrastanti. Michele sarebbe entrato in azione solo dopo la morte della nipote. Sarebbe stato chiamato dalle donne di casa per far sparire il corpo ancora caldo della 15enne. Una missione che lui avrebbe eseguito diligentemente, dopo aver caricato il cadavere in macchina. Fedele al mandato ricevuto da moglie e figlia, ha stabilito anche la Cassazione, sarebbe volato in campagna per scaraventare il corpo in quella cisterna interrata, utilizzata per la raccolta delle acque piovane. Poi avrebbe custodito per quaranta giorni il segreto nel suo cuore, sfuggendo a investigatori e cronisti.